C'era una volta in Bhutan
29/04/2024
di Pawo Choyning Dorji
con: Tandin Wangchuk, Kelsang Choejey, Deki Lhamo, Pema Zengpo Sherpa,Tandin Sonam, Harry Einhorn, Choeying Jatsho, Tandin Phubz, Lhendup Selden
Capisco che i distributori nostrani sentano di dover ostinarsi a banalizzare i titoli originali delle pellicole che importiamo nella loro personale trasposizione in italiano perché intendono venire incontro a un pubblico sempre più corrivo, ma siamo veramente sicuri che attrarre quel tipo di pubblico a vedere certi film che fin dal loro nome sono oltre la loro portata - e magari, soprattutto, allontanando chi avrebbe potuto apprezzare quelle opere appieno - faccia bene al cinema non tanto come settima arte bensì proprio come industria già in piena crisi? O che addirittura non sia proprio questo lavorio ai fianchi a rendere gli spettatori sempre meno interessati?
Fatta questa dovuta premessa in forma di domande neanche troppo retoriche, provo a non limitarmi alla critica ma a proporre un paio di spunti in merito da traduttore d'accatto quale sono. C'era una volta in Bhutan è una coproduzione complessa, oltre al Paese in cui è ambientato comprende il lavoro di Taiwan, Hong Kong, Francia e Stati Uniti, quindi il titolo originale poteva essere reso benissimo nella nostra lingua da quello inglese in una forma sintetica forte e misteriosa: “Il lama col fucile”, oppure dal cinese in una forma più prosaica e descrittiva seppur ispirante nella sua negazione iniziale: “Non ci sono armi in Bhutan”. Tra l'altro di tempo per fare qualche valutazione in più c'è n'è stato: la pellicola è stata presentata in première fin dall'inizio del settembre scorso al cinquantesimo Talluride Film Festival, il mese successivo è uscita nelle sale e sempre l'anno scorso ha vinto il premio del pubblico al Vancouver International Film Festival e il premio speciale della giuria al Festival Internazionale del Film di Roma, mentre nei nostri cinema uscirà solo alla fine del presente mese.
Uno dei Paesi più beatamente isolati e incontaminati al mondo, la cui lingua suona come una via di mezzo fra l'indiano e il giapponese e dove tuttora per entrare i visitatori stranieri devono garantirsi visti a prezzi esorbitanti, nel 2006 prova ad aggiornarsi un po': il monarca assoluto, all'età di 51 anni, abdica e decide di introdurre internet e la tv, l'acqua nera (così chiama la Coca-Cola il giovane monaco protagonista) e di cambiare forma di governo, introducendo la democrazia e con questa le elezioni, le cui prove generali creano scompiglio fra una popolazione rurale che non ha mai avuto a che fare con niente del genere. Durante questi esercizi pubblici di emissari amministrativi infatti un contadino si chiede: “Come facciamo a sapere una cosa così inutile?”, riferendosi alla propria data di nascita, mentre siccome una volta divisi gli accorsi in fazioni posticce, i membri di partiti rivali non litigavano a sufficienza, il delegato gli impone: “Dovete disprezzarvi a vicenda” e la tranquilla, buddhista ribellione di una vecchina lì presente suonerà così: “Perché c'insegnate a essere così maleducati?”
Per i monaci e i loro fedeli di quelle parti 85000 banconote “con un uomo calvo” non valgono più di una noce di betel e il trafficante d'armi americano, compagno di sventura del giovane monaco, scoprirà sulla sua pelle quanto profondamente questo sia vero, nonostante in qualche bar esterofilo vengano appesi poster di 007 al posto delle immagini sacre. Se è quindi vero “che tutti siano vittoriosi”, allora un bimbo rinuncerà alla sua pistola giocattolo e un avido contrabbandiere riceverà il suo dono karmico.
Voto: 8
Fabio Giagnoni