Comandante

30/10/2023

di Edoardo de Angelis
con: Pierfrancesco Favino, Massimiliano Rossi, Johan Heldenbergh, Silvia D’Amico

 “Io il ferro lo butto giù, ma l’Umanità la salvo”, così disse al suo secondo il comandante Salvatore Todaro, capitano di corvetta, al comando del sommergibile Cappellini della Regia Marina, quando nell’ottobre del 1940, mentre navigava nell’Atlantico, recuperò i 26 naufraghi del mercantile belga Kabalo che aveva affondato a cannonate. E, arrivati in un porto neutrale, quando il comandante del Kabalo, dopo aver confessato a Todaro che lui, invece, a parti invertite, avrebbe lasciato in mare i marinai del Cappellini abbandonandoli alla loro sorte, gli chiese il perché li avesse salvati, si sentì rispondere: “Perché siamo italiani”. 

Il bel film “Comandante” (nelle sale italiane dal 31 ottobre) di Edoardo De Angelis, che è anche co-autore assieme a Sandro Veronesi della sceneggiatura, ha come protagonista un brillante Pierfrancesco Favino e racconta una storia vera di mare e di beau geste. Perché la morale del film ha un gusto forte: un naufrago, anche se indossa la divisa, è soltanto un uomo caduto in mare da salvare. Poi, Todaro ha costantemente in funzione il suo Terzo Occhio, che lo consiglia di far restare inspiegabilmente a terra un marinaio sardo, prima dell’imbarco verso il remoto Oceano Atlantico, teatro di guerra assegnato al Cappellini. O gli regala la visione futura della sua salma scaricata in mare, con i pesanti scarponi in primo piano, ai quali è affidato il racconto della traiettoria e dell’impatto visivo finale con la superficie marina, con un corpo inerte che scivola in fondo al suo sarcofago liquido. 

E, poi, quelle visioni idilliache di un focolare domestico, con in braccio una bellissima neonata e la moglie al pianoforte, che sono solo una preveggenza al contrario di ciò che mai sarà. Per non parlare del beau geste del nemico inglese, previsto dal Comandante italiano, solo contro tutti in questa sua assurda decisione di navigare tre giorni in superficie per salvare i naufraghi belgi. Ma, la parte più interessante è tutto ciò che accade “dentro” la pancia d’acciaio del sommergibile. Un tubo stretto come un utero, che più di tanti esseri umani non può nutrire e cullare nel riposo, nella fatica e nei lunghi tempi d’attesa, mentre si muovono avvolti da un  immenso liquido amniotico che sembra non finire mai. Malgrado la perdita di due marinai, un eroico e napoletanissimo pescatore di coralli, e un altro cannoniere morto sul pezzo, è quasi impossibile immaginare di farci stare in quella pancia a siluro altre 24 anime, disseminandole tra toilette, cucina, cuccetta del nostromo e torretta. Quest’ultimo un posto di stazionamento davvero infernale, sferzato da feroci e gelide ondate mentre lo scafo è in navigazione, e l’unico modo di salvarsi dal gelo e dalla polmonite è di fare a turno con altri disgraziati compagni di naufragio. Eppure, grazie a un cuoco rotondetto, che fa durare una mezzora buona i titoli di coda, recitando un elenco interminabile di piatti “etnici” italiani, quel complesso di gente sudata in canottiera ridiviene il nostro noto mondo di “Italiani brava gente”. 

Quei (sotto)marinai che rischiano in ogni istante di restare per sempre in quel loro guscio di noce sottomarino, emanano un fascino virile che nasce dalla loro normalità eroica, ben sapendo che in qualche parte d’Italia li aspettano una madre, una morosa (magari crocerossina), talvolta dei fratelli piccoli. Uomini in guerra ai quali rimane poco tempo per avere paura, perennemente impegnati a fare andare le macchine, riparare perdite idrauliche, black-out elettrici. Persino costretti a sentire il peso della fame quando la missione è lunga e pericolosa, e i porti sicuri e neutrali sono a centinaia di miglia di distanza, per cui non rimane che la brodaglia a scaldare i muscoli mentre anche l’acqua potabile è razionata. 

L’antifascismo, in questa bella opera di De Angelis, è qualcosa che viene riservato all’insulto del nemico, salvato e ricco di ingratitudine, umiliato con le “pacchere” (schiaffoni), mentre l’atteggiamento dei marinai italiani è quello di qualsiasi soldato che abbia ricevuto ordini da rispettare, eseguiti con grande dignità sotto i fondali minati dello Stretto di Gibilterra, in cui si perde ogni eco di odio per il nemico, dato che il sogno di ogni sommergibilista è di tornare vivo da dove è partito. Loro, che operano con la Morte in braccio e la conoscono quotidianamente come nessun altro, lasciano per noi uno struggente messaggio in bottiglia: “Non dimenticare mai che sei un Uomo”. 


Voto: 8

Maurizio Bonanni

La cosa che sorprende di più, in questo bel film di Edoardo De Angelis (Mozzarella stories, 2011, e Il vizio della speranza, 2018, per il cinema; La vita bugiarda degli adulti, 2023, per la televisione), è la capacità di intrecciare in maniera così naturale, e coinvolgente, due dimensioni del racconto, entrambe potenti ed efficaci. 

Da un lato c’è quella personale, quasi intimistica, di Salvatore Todaro (Pierfrancesco Favino), al comando del sommergibile Comandante Cappellini, tracciata attraverso la vicenda grazie ai pensieri rubati in soggettiva, alle lettere scritte alla moglie, ai dialoghi smozzicati ed espressivi con il suo fedele Aiutante (Massimiliano Rossi, imperdibile).

Dall’altro lato, il realismo, crudo e a tratti greve, degli uomini e della macchina, sottomarina, che abitano: dove prevalgono sempre e comunque i primi, con la loro varia umanità, fatta di litigi, ripicche, slanci e paure. Uomini che vengono da tutt’Italia, e vanno alla guerra e alla morte con voglia di vivere, giocare, scherzare, fare l’amore con le infermiere (cfr De Gregori, Generale). 

In questi 120 minuti di navigazione, immersioni e affondamenti, incredibilmente, non c’è un briciolo di retorica: Todaro è sì un fascista, ma prima di tutto un marinaio. Conosce e i suoi uomini almeno quanto sé stesso, e conosce il mare, e la sua legge: Noi affondiamo il ferro nemico, senza pietà, senza paure, ma l’uomo…L’uomo lo salviamo. 

Stipati come sardine nel sommergibile Cappellini, i 26 naufraghi belgi (ufficialmente non belligeranti) del mercantile Kobalo condividono i rischi e la sorte dell’equipaggio che, fedele al Comandante e ai suoi valori, molto più umani che fascisti, li accoglie e li accetta.

Il film alterna scene quasi oniriche (l’intimità con la moglie, l’annegamento del corallaro ‘uscito’ a disincagliare una mina) a veri e propri colpi di scena e sorprese toccanti: come quando la squadra navale britannica, informata in italiano della presenza a bordo dei naufraghi, cessa il fuoco e si fa da parte. Anche qui, nessuna retorica, ma un’aria asciutta e pulita come il mare a prima mattina, mentre il ponte del Cappellini sfila in silenzio sotto la fiancata dell’ammiraglia inglese.

I film di guerra sottomarina sono un genere a sé, la suggestione della solitudine, della profondità, dell’invisibilità del mondo esterno, continuano ad alimentare un filone che, tra alti e bassi, non s’è mai arenato, basti pensare ad un classico della guerra fredda come Caccia a Ottobre Rosso (1990), o più tragicamente alla vicenda del Kursk (agosto 2000), affondato durante un’esercitazione navale. Il particolare più grottesco di quella storia fu che il sommergibile era più lungo (154 metri) della profondità a cui affondò (108 metri).

Comandante rompe gli schemi di genere, raccontando senza retorica una storia vera, in cui l’armamentario narrativo dei film di sottomarini non c’entra nulla: niente duelli psicologici tra sopra e sotto la superficie, niente ammutinamenti, niente scontri navali. Piuttosto la poetica del salvamento, perché, come scrive in epigrafe In mare siamo tutti alla stessa distanza da Dio. La distanza di un braccio, quello che ti salva.

 

Per chi volesse (e potesse) vedere da sé cos’è stare in un sommergibile (fuor d’acqua, però), due chances: A Roma, Cinecittà World, è visitabile il ‘finto’ sottomarino Aquila VI, utilizzato per il film omonimo; a Milano, Museo della Scienza e della Tecnica, c’è invece il ‘vero’ sottomarino Toti, anche  questo visitabile.

Voto: 8

Davide Benedetto