
Le dicerie comuni vogliono che Woody Allen non azzecchi un film da almeno venticinque anni. Eppure, ogni nuovo film viene esaltato come un “ritorno ai tempi d’oro”. È difficile parlare di innovazioni nelle storie e nelle tematiche affrontate dal regista newyorkese. È innegabile che vi sia un utilizzo continuo delle medesime strutture narrative. Tuttavia, ciò che contraddistingue la qualità del cinema di Allen è il perfetto equilibrio tra il comparto visivo-artistico, lo spiccato gusto cinematografico e la sorprendente capacità di cambiare abito ai temi trattati, nella solita mescolanza tra commedia e malinconia. Che sia l’intellettualismo universitario di “Un giorno di pioggia a New York” o l’immersione nell’atmosfera fantastico-nostalgica di “Wonder Wheel”, quel miscuglio tra tagli di colori accesi e colonna sonora jazz riescono puntualmente ad accrescere la voglia di abitare (magari per un breve periodo) nel luogo di ambientazione del film di turno e vivere le avventure dei personaggi.
Siamo a Parigi. La storia si apre con l’incontro fortuito in strada tra Alain e Fanny, ex compagni di liceo. Tra i due si sviluppa un’attrazione reciproca, bloccata dal fatto che Fanny è sposata con Jean, un facoltoso uomo d’affari con qualche inquietante scheletro nell’armadio. Classico triangolo sentimentale à la Allen, classico tema dell’antitesi fra la fredda calcolazione affaristica borghese e l’amore per l’arte e la vita bohemienne. Fanny ribolle di voglia di ribellione e autenticità, apparentemente soffocata dall’attuale vita che sta intraprendendo, imprigionata dalla noia e dalla mediocrità intellettuale delle persone da cui è circondata per volere del marito. Alain è uno scrittore, un’anima libera che passeggia per una Parigi squisitamente romantizzata. Jean sembra essere interessato più alla reputazione e al mostrare la bellissima moglie come un trofeo, pur essendo realmente innamorato di lei. È appassionato di modellini di treni, simbolo della sua mania per il controllo assoluto, e possiede una credibilità basata unicamente sul proprio successo economico.
Ogni personalità del film viene dominata dallo stesso fenomeno incontrollabile, che è anche elemento centrale del titolo del film: la fortuna. Trovarsi al posto giusto, al momento giusto, è immensamente più importante delle abilità e della purezza d’animo di ogni individuo. In questo senso (e in quelli che saranno gli sviluppi principali della trama), Allen sembra rifarsi prepotentemente a “Match Point”. Qui, però, si aggiunge un tono maggiormente spensierato e caldo, ottenuto attraverso un utilizzo insistito del giallo, il quale intensifica l’atmosfera prettamente autunnale della pellicola ambientata in parte in campagna, e la solita fondamentale attenzione al comparto musicale.
La sceneggiatura, invece, è marcata da una minore presenza di gag o battute. Il film, pur essendo una commedia, non è eccessivamente comico, ma è pervaso dalla solita brillantezza leggera, abile a trattare con un sorriso argomenti quali l’inutilità e mancanza di senso dell’esistenza, la fredda indifferenza del cosmo, la coincidenza, la purezza dei sentimenti. Il tutto macchiato da una piccola componente nera, un ingrediente acre e maligno che interrompe l’idillio romantico alla base della sinossi, dove i puri di cuore non riescono a essere per sempre felici e contenti, ma anche i “villain” devono assumersi delle responsabilità pesanti.
Alla fine, di nuovo e come sempre, è la città ad essere guardiano delle vicende dei piccoli individui, che si muovono come formiche in questo labirinto metropolitano. Dodici anni dopo “Midnight in Paris”, Parigi torna a essere la città di Allen oltreoceano. Un rifugio sicuro in cui poter lavorare, senza essere disturbato da vicende extra-cinema.
Una città senza tempo, come il cinema del maestro, in grado come nessun altro di essere al contempo Bergman e Lubitsch.
Voto: 7,5
Edoardo Cappelli