Terminati gli studi, tre ragazzi e due ragazze americani si mettono in viaggio su un furgone. Attraverseranno l’Oregon per raggiungere il mare.
Ci si potrebbe spazientire durante la visione di “Gasoline Rainbow”: l’ennesimo ritratto di giovani più o meno senz’arte né parte, alle prese col grande nulla della provincia americana, al quale sperano di sottrarsi senza però sapere bene quali strade intraprendere, e quali scelte compiere.
Il tema dell’incertezza del futuro è sempre presente e piuttosto opprimente, e i giovani optano per una temporanea, parziale evasione dalla realtà col loro vagare esuberante; al ritorno li attende l’assunzione di responsabilità che segnerà l’ingresso nell’età adulta.
Il viaggio, motivo ricorrente nel cinema e nella letteratura statunitense, non ha una funzione iniziatica. Tony, Micah, Nichole, Nathaly e Makai (gli attori nei panni di sé stessi) incontrano lungo la strada coetanei, o persone più grandi di loro; outsider, per lo più, o comunque individui il cui stile di vita “alternativo” li contrappone in qualche modo alla massa. I cinque si intrattengono di volta in volta piacevolmente con i tipi in cui si imbattono; partecipano a feste, o a raduni in cui si beve e si fuma.
E se la rappresentazione di questa gioventù sembra ingenuamente, e in maniera compiaciuta, ancorata alle produzioni indipendenti degli anni Novanta (spinelli, alcol, skateboard, T-shirt di gruppi punk o heavy metal e affini ‒ oddio, non che un rimando ai Misfits o ai Black Flag possa essere mai fastidioso), va riconosciuto che i registi Bill e Turner Ross ci risparmiano il maledettismo.
I protagonisti, all’apparenza perdigiorno, non sono debosciati. Aspettare la seconda parte di “Gasoline Rainbow”, invece di interrompere la visione stremati dai cliché, consentirà di scoprire che alcuni di loro si sono già accollati oneri gravosi, e che hanno esperienze dolorose alle spalle.
La vivacità e l’esuberanza infuse con gioia in ogni azione compiuta, anche banale, sono tentativi frenetici di affermare la propria fame di vita e la disponibilità assoluta all’apertura nei confronti dell’altro. Forse, un modo di esorcizzare il timore di ritrovarsi a condurre un’esistenza grigia e monotona. Di sicuro, un atteggiamento che lascia trasparire, inoltre, la necessità incalzante di punti di riferimento. Qualcosa che “i grandi” non sono stati in grado di offrire a questi ragazzi.
Da vedere.
Voto: 7,5
Andrea Salacone