
Otto Anderson ha un cuore troppo grande. A causa di quel cuore non ha svolto il servizio militare e la sua vita è in bilico ogni momento. Ma è anche un cuore che non sa dire di no agli amici, ai vicini, a un gatto smarrito e a chiunque chieda il suo aiuto, anche se è pieno di rabbia e dolore e stanchezza di vivere.
Otto Anderson è un uomo preciso, burbero, scontroso, non sopporta che le cose non siano in ordine e fatte secondo le regole, che siano in mano a degli idioti, che la corda che compra per impiccarsi gli venga venduta al metro, chiedendo di pagare i centimetri in eccesso. Ce l’ha col mondo e vuole solo raggiungere la moglie morta, appena avrà disdetto le bollette e sistemato tutto. Ma qualcosa interrompe sempre i suoi tentativi di suicidio, soprattutto la nuova vicina, una donna invadente e travolgente, metà cubana e metà del Salvador (nel film svedese Mr. Ove, di cui il film di Forster è il remake, la vicina è iraniana) che con tutta la sua confusione, la sua irruenza e il suo entusiasmo lo costringe a vivere.
E forse continuare a vivere è quello che gli chiede l’amata moglie sulla cui tomba Otto va a parlare, promettendole di raggiungerla presto, appena avrà finito di sistemare un po’ di cose, siano queste i piccoli lavori di carpentiere di cui lui solo sembra essere esperto, occuparsi della raccolta differenziata che tutti trascurano e far la ronda nel quartiere, insegnare a guidare a una donna maldestra e leggere le fiabe ai suoi bambini. Il suo passato lo ricostruiamo pezzo per pezzo come un puzzle, ma intuiamo che qualcosa di doloroso l’ha spezzato, prima della perdita della persona che dava un senso alla sua vita e lo ha lasciato con un vuoto incolmabile.
Il film di Marc Forster, tratto come il precedente svedese dal romanzo di Fredrik Backman L’uomo che metteva in ordine il mondo, è delicato, commovente e toccante e ha tutta la propria forza in Tom Hanks, che ancora una volta offre un’interpretazione superlativa, mentre il figlio Truman gli dà volto nei flashback, interpretando Otto da giovane. Vengono subito alla mente precedenti illustri su vicini troppo irruenti che richiamano alla vita, primo fra tutti Gran Torino, ma anche Gruppo di famiglia in un interno. Peccato che Non così vicino non abbia la stessa potenza.
Sappiamo già che il personaggio del burbero litigioso durerà poco e inevitabilmente nella parte finale si scivola nel sentimentalismo senza eluderne le trappole. Ciò non toglie che spesso si sfiori la poesia e che i rapporti umani siano tracciati con estrema dolcezza.
Voto: 7
Gabriella Aguzzi