Rapito

29/05/2023

di Marco Bellocchio
con: Fausto Russo Alesi, Leonardo Maltese, Paolo Pierobon, Barbara Ronchi

Negli anni che contornano l’Unità d’Italia i coniugi Mortara, ebrei bolognesi, leggono una preghiera al neonato Edgardo. Immersi nel chiaroscuro provocato dalle luci calde delle lampade a olio, vengono spiati dalla loro domestica cattolica, la quale si convince che la preghiera sia dovuta alla salute precaria del bimbo prossimo alla morte. Sei anni dopo, la famiglia viene raggiunta dagli ufficiali dello Stato Pontificio che reclamano la proprietà del piccolo Edgardo. Secondo una segnalazione, il bambino sarebbe stato battezzato in segreto, e sarebbe quindi a tutti gli effetti un cristiano. Impossibile per lui crescere in un ambiente giudaico. Viene quindi strappato alla sua casa e portato in Vaticano, in un collegio dove verrà cresciuto con i dogmi del cristianesimo.

La pellicola tratta una vicenda realmente avvenuta, riadattata con maestria da Bellocchio prendendo spunto dallo scritto “Il caso Mortara” di Daniele Scalise. Così come con “Esterno Notte”, il regista si confronta con la dualità di una vicenda privata che assume rilevanza nazionale, inscritta in un turbolento periodo di sconvolgimento politico per il paese. Le vicende del microcosmo di casa Mortara divengono effige di un conflitto su scala ben più ampia. Così, mentre la prima parte si focalizza maggiormente sul percorso emotivo dei Mortara e sul loro desiderio di giustizia (osteggiato dall’oscurantismo dell’Inquisizione Pontificia), il secondo tempo del film si apre al racconto dei fatti che hanno tinteggiato il Risorgimento Italiano. L’equilibrio è anche garantito dalle sublimi prove del cast. Nota di merito in particolare per Fausto Russo Alesi, che interpreta il padre di Edgardo (Momolo Mortara), abilissimo nel donare sfumature alla complessa situazione in cui il suo personaggio si muove, incastrato nella necessità di essere diplomatico fino alla magistrale esplosione emotiva finale, quando diviene chiarissimo il distacco di ogni tipo di istituzione dalle necessità dei singoli e si palesa l’impossibilità di ottenere giustizia. 

Bellocchio si concentra su una narrazione che mette in evidenza le convinzioni di entrambi le parti in gioco. Sebbene sia chiaro dove risieda il torto (il regista non gioca certo a fare il cerchiobottista), è interessante osservare l’onesta delineazione di tutti i personaggi in scena. Tutti sono perfettamente convinti del loro ruolo e dei loro obiettivi. In particolare, Paolo Pierobon dà spessore a un Papa Pio IX diviso a metà tra l’amore per i precetti in cui crede e il timore per la perdita di un potere scolpito nei secoli, certo che le responsabilità di cui è rivestito implichino dei sacrifici. Questi parallelismi e queste distanze profonde tra i due blocchi di personaggi in conflitto vengono esaltati dall’uso sapiente del montaggio alternato. Durante queste sequenze i personaggi sono spesso intenti a compiere le stesse azioni (ma con significati ben diversi). Altre volte, le vicende si specchiano nelle loro ricorrenze senza avvenire contemporaneamente. Viene in mente la scena all’inizio del film, quando i gendarmi vogliono portare via Edgardo, in cui la madre (Marianna, una stupenda Barbara Ronchi) nasconde il figlio sotto la propria sottana. Il gesto implica la volontà di proteggere il figlio dal “male”, di stringerlo a sé per garantirgli una vita tra coloro che veramente lo amano. Più in là nel film, all’interno del collegio vaticano, mentre i bambini sono intenti a giocare a nascondino, il Papa di passaggio con i cardinali nasconde maldestramente Edgardo sotto la veste per farlo vincere. È l’inganno che viene perpetrato nella spensieratezza e nell’innocenza dei bambini, che intacca la loro genuinità e che non viene denunciato nonostante l’evidenza, per via della repressiva autorità di chi lo commette.

Nella pellicola è inoltre molto presente l’elemento del rito, il quale ottiene valore unicamente in relazione alle intenzioni di chi lo pratica. Non c’è nulla di intrinsecamente vero nel dogma o nella ritualità, che può essere totalmente relativizzata a seconda delle necessità. Da questa pretesa di mettere le mani sulla verità si sguinzagliano le più bieche discriminazioni e le peggiori manipolazioni. Ciò emerge perfettamente nella scena del funerale del Papa, in cui una parte di popolo insorge per oltraggiarne la salma, e per un breve momento Edgardo (ormai adulto e ufficialmente sacerdote senza più alcun legame con la famiglia) sembra veder riemergere quel trauma mai realmente affrontato. La meravigliosa scena finale completa il quadro.

In conclusione, il film vive di momenti e scene memorabili, in cui forse l’onirismo in alcuni sprazzi rappresenta l’unico reale momento di dissonanza. Il ritmo narrativo danza tra il dramma giudiziario, il romanzo storico per immagini e l’emotività struggente. Dimensione privata e dimensione pubblica, che pochi riescono a far congiungere con armonia.

 

Voto: 8

Edoardo Cappelli