Può piovere per sempre, a giudicare dall'evoluzione di un certo cinema commerciale.
Quella che poteva essere a distanza di trent'anni esatti un'ottima occasione per rendere omaggio a un cult come Il corvo, pellicola che pretese la vita stessa dell'attore protagonista Brandon Lee, è in effetti un remake in salsa trap del capolavoro assoluto di Alex Proyas del 1994.
Dopo l'apparente rifiuto di Mark Wahlberg - e viene da chiedersi dettato da cosa - la parte principale è stata data al ragazzotto svedese dal grugno dolce e un po' bestiale Bill Istvan Günther Skarsgård, attore che fece più bella figura interpretando l'altro orrido remake del mostro It di Stephen King piuttosto che recitandosi in bocca una parte che è lampante non senta, oltretutto coperto di stupidi tatuaggetti a caso, il ruolo d'un amante disperato che torna dall'aldilà in cerca di vendetta ma che invece fa disperare chi vi assiste; amante di una giovane mulatta conosciuta in un manicomio, la cantante di trip hop FKA Twigs prestata al ruolo di attrice, assistiamo così a una doppia operazione messa in atto in nome dell'ormai strabordante politicamente corretto cinematografico e consistente in un Eric Draven sottoposto a whitewashing e in una Shelley Webster, al contrario, sciacquata di nero. A detta di lorsignori della Hollywood woke, queste tattiche sono dettate dalla necessità di rappresentare degnamente le minoranze, esse sortiscono invece l'effetto di far infuriare chi non ne sente affatto il bisogno, spesso quelle stesse minoranze per prime.
Così, una pellicola oscura e dark, come noi italiani chiamiamo il genere musicale e stilistico d'origine anglosassone di nome goth, viene edulcorata in quella che appare come una versione più noiosamente lunga e sicuramente meno orecchiabile del videoclip di We found love, il famoso singolo di Rihanna, con tutto che qualche pezzo dei Joy Division ancora si riesce a sentire nella colonna sonora.
Se a queste considerazioni musicali, estetiche e, potremmo dire, sociologiche, ove non già politiche, aggiungiamo il fatto che al girato originario di per sé abbastanza fantasy si sovrappone un surplus di irrealtà dato dalla natura dell'antagonista che da boss del crimine locale diventa una specie di demone soprannaturale, ecco che la storia si svuota anche di tutta quella carne e sangue rappresentata dal fatto che, al di là della veste spirituale concessa dall'animale esoterico, Eric & Shelley erano due sposini in condizioni di emarginazione sociale che si battevano per i diritti abitativi e per questo furono massacrati, non una coppia di sbandati sballati che si trova coinvolta in un gioco divino fra entità manichee non ben caratterizzate.
Insomma, dal mio punto di vista, ci troviamo di fronte a un inutile fiasco che avrebbe dovuto lasciar riposare in pace i due amanti maledetti invece di trasfigurarli fino a renderli caricature di se stessi. Filmetto inguardabile al punto che per la prima volta, dopo la scena del secondo applauso nel teatro dell'opera posto in sequenza al monotono sbudellamento tramite katana del centesimo addetto alla sicurezza in smoking, ho avuto la tentazione di alzarmi e togliere il disturbo: mi sarei risparmiato di assistere a un finale melenso che, oltretutto, cola acqua da ogni parte per incongruenze narrative.
Voto: 4,5
Fabio Giagnoni