Una sterminata domenica

18/09/2023

di Alain Parroni
con: Enrico Bassetti, Federica Valentini, Zackary Delmas

Per il cinema italiano, fossilizzato sui soliti schemi e soluzioni, è fondamentale avere una potenziale nuova generazione di artisti pronti a portare qualcosa di diverso e non accondiscendente in sala. “Una sterminata domenica” di Alain Perroni affronta da vicino le giornate di tre personaggi: Federico (Enrico Bassetti) e Brenda (Federica Valentini) sono due fidanzati diciannovenni che di colpo sono costretti a programmare la loro vita futura da genitori, data la gravidanza della ragazza; mentre il loro amico fraterno Kevin (Zackary Delmas) li segue in ogni momento delle loro giornate, in un rapporto di amicizia solida e un complesso triangolo di sentimenti.

La pellicola è virtualmente priva di trama. Parroni si limita a seguire fedelmente gli spostamenti dei giovani protagonisti, il loro vagabondare senza meta nella disperata e inutile ricerca di stimoli. La macchina da presa si muove vicino ai volti dei ragazzi con primi piani serratissimi e continue riprese dal basso. Diveniamo parte del gruppo e al contempo abbiamo una sensazione di sudditanza, di mancanza di accesso al loro modo di vedere la vita, irrimediabilmente disilluso e apatico. Gli unici slanci di apertura sono costituiti dalle inquadrature del cielo, un elemento visivo molto presente lungo tutta la narrazione, simbolo di un’aspirazione che ribolle negli animi dei ragazzi, ma che non può rappresentare un obiettivo preciso. Un’ambizione che non riesce a essere specifica nei propri desideri né capace di porsi dei traguardi visibili e realizzabili. A tal proposito dà una gran mano la fotografia, in grado di giocare con i chiaroscuri, con un’intensa saturazione della luce – capace di dare un calore afoso a molte scene –, con una granatura che rende il mondo raccontato nell’opera qualcosa di uscito da un passato indefinito, e con piccole trovate estetiche che distorcono l’immagine (magistrale la scena in cui Federico cammina trascinando la moto sotto la pioggia di notte, smosso dalle gocce illuminate dai lampioni che rifrangono lo schermo).

Parroni non rincorre la sveltezza e l’immediatezza. Le scene hanno bisogno del loro tempo per respirare e per depositarsi nello sguardo del pubblico. I personaggi sono seguiti e indagati. A volte queste scene richiedono un tempo di attenzione forse non necessario, e si ha l’impressione che l’autore abbia voluto imprimere a forza un proprio marchio di fabbrica su quella che è la sua opera prima. Ciò vale anche per la caratterizzazione dei personaggi e per la recitazione degli attori, a tratti eccessivamente sopra le righe, seppur abile a mantenersi in uno spettro brillante di credibilità (che si riscontra soprattutto nei dialoghi). Quello che resta allo spettatore, conseguentemente, è l’affetto che ognuno degli adolescenti prova per gli altri due coetanei, unici appigli in una realtà deprimente.

Il tempo si sgretola insieme allo spazio. Contrapposta al caotico andirivieni del centro della metropoli, dove i nostri protagonisti vagano con l’unico scopo di ammazzare il tempo, la cittadina nella campagna romana che fa da sfondo a gran parte delle vicende sembra essere sospesa in un nulla esistenziale. Le persone sono assenti, gli spazi sono vuoti, i palazzi sono pieni di impalcature. Nulla è completo e coltivato. La periferia metropolitana lasciata a se stessa non offre opportunità, se si esclude una ricerca della soddisfazione estemporanea o la fuga. Un non-luogo che forza i personaggi a essere maturi e disincantati nella loro palese immaturità, a cavallo tra un’esaltazione immaginifica e un crudo, spietato realismo.

I protagonisti sono di fatto immersi nel proprio culto personale della giovinezza come ideale di eterna bellezza e vitalità. La vecchiaia li spaventa, crescere è una chimera. Non è un caso che l’opera manchi di ogni tipo di figura adulta, al di fuori della nonna di Brenda (che però si limita a essere veicolo di tradizioni e superstizioni vetuste) e Domenico, un fattore tedesco che darà lavoro a Federico, la cui attività però non appare per nulla cristallina. 

Nessuno sa indicare una via affidabile a questi ragazzi, che affogano nel nichilismo passivo della loro noia. Tuttavia, l’esperienza non concede compromessi. Prima o poi i sentimenti vengono feriti, le abitudini vengono sconvolte. Se il luogo in cui si cresce non ha mai offerto una possibilità di analisi, se nessuno ha mai voluto mostrare una sana elaborazione della propria interiorità, non resta altro che il vuoto. E la violenza.

Voto: 7

Edoardo Cappelli