
Un emerito professore universitario di Logica e uno studente scoprono che alcuni
delitti potrebbero essere stati perpetrati dallo stesso assassino. Ma la realtà
è come sembra?
Ringraziamo il regista Alex de la Iglesia per aver affrontato
un tema mai trattato prima da un’opera cinematografica. Intento nobilissimo,
inficiato purtroppo da un risultato finale imbarazzante. Oxford Murders –
Teorema di un delitto è costruito sui discorsi verbosi a sfondo
logico-matematico del professor Seldom (povero John Hurt, com’è caduto in basso)
e del giovane cervellone Martin (un Elijah Wood credibile quanto i Pooh che
reinterpretano House Of The Risin’ Sun), che presto si trasformano in
sproloqui che allo spettatore italiano non potranno non richiamare la
“supercazzola” del conte Mascetti.
La cartella stampa definisce il misfatto
di de la Iglesia “mystery thriller”, ma mancano elementi che inneschino la
benché minima tensione: il film diviene avvincente solo quando la giunonica
Lorna – e la scelta del nome non può non essere un omaggio alla pellicola di
Russ Meyer e alla sua procace protagonista – si concede senza veli all’occhio
indiscreto della macchina da presa (nel vedere le sequenze in cui Martin
amoreggia con la bella infermiera i più maliziosi coglieranno rimandi forse non
voluti dalla produzione al titolo del secondo episodio della saga diretta da
Peter Jackson, di cui Elijah Wood era interprete principale: Il Signore
degli Anelli – Le due torri). Complessivamente però le suddette scene non
durano più di due minuti. Cosa dire di positivo dei restanti 108? It’s a
mystery to me.
Voto: 4
Andrea Salacone