
I fratelli Coen fanno un salto indietro nel tempo alla sfarzosa Hollywood degli anni ’50 con i Capitol Studios di Eddie Mannix (Josh Brolin) e le loro variegate produzioni costellate di attori talentuosi o totalmente fuori luogo. Una noir comedy tipica dei fratelli di “Non è un paese per vecchi” farcita con la ricerca di un attore scomparso dando un tocco di detective story che però non disdegna elementi da musical. Un vero potpourri di generi cinematografici che si combina alla varietà di personaggi, ambientazioni e situazioni proposte nel corso della trama. Sembra infatti di entrare in un vero e proprio set cinematografico attraversandone le varie scenografie, sempre accompagnate da personaggi diversi caratterizzati in maniera eccelsa, ciascuno rappresentante un aspetto macchiettistico delle figure Hollywoodiane degli anni passati: si passa dal cowboy in pieno stile John Wayne con scarse abilità recitative (lo straordinariamente divertente Alden Ehrenreich) all’esigente e altezzoso regista con costanti manie di superiorità (Ralph Fiennes).
Le caricature appaiono evidenti soprattutto se supportate da una sapiente scelta di cast (si veda il personaggio quasi autocaricaturale di Bair Whitlock interpretato da George Clooney) che riesce a mantenere le alte aspettative, con menzione d’onore a Channing Tatum in una quantomai ascendente parabola attoriale. In soli 106 minuti i Coen divertono e stuzzicano lo spettatore attraverso un umorismo noir ricercato che spazia dalla politica alla religione, ammaliando il pubblico con un’estetica di incantevole impatto visivo.
Voto: 8,5
Giovanni Favaretto

“Un film noioso che finge di essere un film serio che finge di essere un film comico”: potrebbe essere proprio questa la miglior sintesi degli interminabili 106 minuti di occasioni mancate de “Ave Cesare”, a cui il cast “stellare” (sic) non riesce a restituire alcuna dignità, per difetto congenito di sceneggiatura (ovviamente dei Fratelli Coen).
E proprio il confronto con il degnissimo Victor Victoria, di Blake Edwards (1982), da cui la battuta ( “Una donna che finge di essere un uomo che finge di essere una donna?...non ci crederanno mai !”) , aiuta a mettere a fuoco quel che manca a questo pur ricchissimo film: ritmo, signori miei, ritmo, se volete far ridere, dove azzeccare il ritmo. E qui tutto c’è tranne il ritmo, eppure le occasioni (regolarmente mancate) abbondano. Andatevi a rivedere Helzapoppin’ (1941!!), oppure immaginate qualcosa del genere per le mani del miglior Woody Allen (no, lasciate perdere, c’è già Broadway Danny Rose).
Il protagonista dell’arrancante vicenda è Eddie Mannix: efficientissimo manager dei Capitol Studios. Eddie è un “fixer”, un “aggiusta rogne” spregiudicato e al tempo stesso integerrimo e familista. La sua parlantina e la prontezza nel prevedere e ‘aggiustare’ le rogne è quotidianamente messa alla prova dalle continue trasgressioni e isterie delle star. Abilissimo e spregiudicato, arrangia gravidanze indesiderate e divi alcolizzati, persino complotti di sceneggiatori comunisti, con tanto di rapimento della star. E lui, il nostro Eddie, è sempre lì, sul pezzo, reattivo e creativo come nessun altro nel ricucire i continui strappi alla rispettabile e vulnerabile facciata del mondo dorato degli Studios, da salvaguardare ad ogni costo.
Teoricamente un plot ricco di spunti…comici? moralistici? Non si sa, ma nel dubbio i Coen oscillano vistosamente tra i due poli, e il film si trascina penosamente verso l’agognata conclusione, orribilmente sprecando anche i talentuosi (malcapitati) attori sfoderati, nonché i migliori spunti comici (e qualcosa di salvabile ci sarebbe stato, come la montatrice tabagista semi strangolata dal foulard agganciato dalla moviola…)
Né d’altra parte risultano credibili certi aspetti moraleggianti del protagonista, che sì, sembra l’unico sano di mente in un mondo di pazzi, ma ostenta un’imperturbabile rigidità puritana che proprio non dialoga con il resto. Siamo agli stereotipi, al saccheggio di un immaginario collettivo (Hollywood, la fabbrica dei sogni … di cartapesta) che tra l’altro è stato già abbondantemente (e meglio) utilizzato per dire qualcosa di più intellegibile sulla Macchina dei Sogni.
Allora ricapitoliamo: non è un film comico, perché non fa per niente ridere (vedi sopra alla voce: ritmo). Non è un film serio, critico sulle Pecche della Mecca (del cinema) perché al tempo stesso tutto quanto viene banalizzato, quasi svilito (vedi alla voce: complotto vetero-comunista degli sceneggiatori-rapitori … vuoi vedere che il Senatore Joseph Mc Carthy aveva poi ragione a dar la caccia alle Streghe Comuniste…). Non è un film di recitazione, perché i personaggi alla fine vengon fuori piatti, unidimensionali, quasi disegnati alla Peppa Pig, alla Spongie Bob insomma. Quasi un film per bambini, alla fin fine, nel peggior senso del termine.
E allora? Relativamente gradito alla critica USA, ma comprensibilmente stroncato da quel pubblico (nonché più modestamente dal sottoscritto), Ave Cesare vuole forse essere un maldestro, costosissimo (ed egocentrico: sprecare così tutto quel ben di Dio di scenografie, costumi, talentuose star…) tributo d’affetto dei Fratelli Coen al Cinema con C maiuscola (e con i panni sporchi).
Da non vedere: dite che vi siete beccati l’influenza, il gatto c’ha la crisi esistenziale, vostra suocera vi ha lasciato, insomma fate (inventate) voi, ma se vi cercano, rimanete a casa. A qualunque costo.
Ave Coen, morituri vos salutant … e speriamo che il prossimo sia migliore.
Voto: 5,5
Davide Benedetto