A Serious Man

04/12/2009

di Joel & Ethan Coen
con: Michael Stuhlbarg, Richard Kind, Fred Melamed, Sari Lennick, Aaron Wolff

Protagonista dell’ultima strepitosa commedia dei fratelli Coen è un “serious man”, un uomo perbene, un uomo comune, retto e pacifico, al quale, come a Giobbe, capitano disgrazie a catena, ma che non riesce a rintracciare in esse un disegno divino. Un film sulla ricerca dei perché e sulle mancate risposte alle tragedie della vita che sa raccontare tutto ciò facendo ridere dall’inizio alla fine.
Avevamo parlato in passato della doppia anima dei fratelli Coen, una spiccatamente noir ed una grottesca, che coesistono e si alternano. Dire che “A Serious Man” appartiene alla seconda categoria è schematico e riduttivo, poiché l’umorismo amaro e graffiante di cui è intriso (battute scoppiettanti, tormentoni che si ripetono, situazioni normali che diventano grottesche solo enfatizzandole od osservandole attraverso il grandangolo dell’assurdo) svela l’impotenza di fronte all’accanimento del destino, e l’irresistibile episodio dei “denti del non ebreo” raccontato dal “secondo rabbino” ne è l’esempio più completo. Inoltre i due fratelli Coen hanno il pregio di non ripetersi mai e di sorprendere con opere sempre nuove, nonostante la loro cifra stilistica sia sempre riconoscibile e le tematiche ricorrenti (ma qui il discorso diverrebbe infinito). Se dunque hanno esplorato i diversi generi della commedia ed omaggiato i generi cinematografici che le rappresentavano, qui ci folgorano con l’umorismo yiddish. Viene fin troppo facile pensare ad Woody Allen per il modello di famiglia che vi è rappresentato, ma – e mi rincresce dirlo parlando di uno dei registi da me più amati – Woody Allen sembra aver esaurito la sua vena, finendo spesso col rifare se stesso, mentre i Coen hanno sempre in serbo l’arma dell’originalità e del non previsto.
Attori dai volti azzeccatissimi danno vita all’assurdo campionario di personaggi che popolano questa feroce commedia sul mondo ebraico, ambientata in pieni Anni Sessanta, illuminata da vividi colori in stile Norman Rockwell, ma la provincia americana qui dipinta non vive il tranquillo idillio familiare e il serious man del titolo combatte inerme contro una moglie che pretende il divorzio rituale, un fratello ingombrante, figli che lo cercano solo per spostare l’antenna del televisore, studenti coreani che tentano di corromperlo,  inopportune vendite di dischi, rabbini che non gli danno risposta... Piccole ordinarie follie quotidiane che assumono dimensioni sempre più enormi nel loro reiterarsi, trasformandosi in incubi che si svelano come tali nel momento in cui irrompe l’assurdo.
Il finale arriva brusco e improvviso. Ed è allora che smetti di ridere e cominci a pensare.

Voto: 7,5

Gabriella Aguzzi

L'ultimo film dei fratelli Coen è una tragicommedia graffiante e fortemente critica, il cui tema portante è uno dei maggiori dilemmi dell'umanità: la precarietà dell'esistenza.
1967: Lawrence (Larry) Gobnick è un professore di fisica un po' nevrotico e tanto insicuro, appartenente a una comunità ebraica del Mid West che ogni giorno insegna ai suoi studenti, attraverso il principio di indeterminazione e il Paradosso del gatto di Schrödinger, che nulla è assolutamente certo. Ed è proprio per questo motivo che al povero Larry ne capitano di tutti i colori: rischia che il suo incarico non venga riconfermato, viene ricattato da uno studente, i figli lo tengono in considerazione solo quando fa loro comodo, suo fratello Arthur si stabilizza nel bagno di casa sua, la vicina attenta alla sua fedeltà seducendolo prendendo il sole nuda, la moglie Judith gli chiede un Gett - una sorta di annullamento del matrimonio in forma religiosa - che le permetterà di risposare Sy Ableman, un uomo molto più sicuro di lui e meglio inserito nella comunità ebraica in cui tutti loro vivono. È in uno dei momenti peggiori che all'uomo arriva il fatidico consiglio “Siamo ebrei: abbiamo il pozzo della tradizione a cui attingere per capire”. Nel tentativo di superare le difficoltà che gli si pongono dinnanzi, Larry cerca di appigliarsi all'unica speranza di certezza che gli rimane: la fede. Si rivolge quindi a tre rabbini diversi. Ciò che però riceve da questi incontri sono risposte fuorvianti (“Non possiamo sapere tutto”, è la spiazzante risposta con cui il secondo rabbino conclude l'incontro), discorsi ammaliatori senza né capo né coda, tanta delusione, meno speranze e certezze di prima. Proprio quando Larry sembra aver risolto i suoi numerosi problemi, arriva il finale aperto, che lascia presagire una nuova disgrazia.
Il confronto con la critica che Allen fa della religione e della forma mentis ebraica nasce spontaneo. Il protagonista, un po' nevrotico e molto timido, con tanto di occhiali, sembra proprio ricordare i personaggi interpretati dallo stesso Woody Allen. La critica è condotta, però, diversamente e la comicità si esprime in modo differente: se nei film del regista newyorchese sono presenti moltissime battute di spirito, che divertono e tengono viva l'attenzione dello spettatore, i fratelli Coen preferiscono suscitare la risata delineando situazioni grottesche e portando all'esasperazione la vicenda, inducendo il pubblico a ridere amaramente o a rimanere completamente sconcertato. Ne risulta così un film molto meno divertente ma ugualmente profondo. Sicuramente i due registi riescono a rendere meglio l'elemento del realismo: anche se i fatti sono volutamente portati all'esasperazione, le singole situazioni attingono con certezza alla realtà. Gli stessi volti degli attori protagonisti, non belli come i soliti divi del cinema, riescono a dare l'idea di una famiglia non idealizzata, ma comune.
Il film ha molti punti di forza: la bravura del cast, la profondità del tema trattato, l'adeguatezza della colonna sonora (molto efficaci sia i titoli di testa che quelli di coda, piacevolmente accompagnati dalle note di Somebody to Love dei Jefferson Airplane), la riuscitissima e tagliente analisi dei costumi e del messaggio della religione ebraica. Purtroppo l'unica pecca si fa sentire molto: la vicenda procede lentamente, a forza di lunghissimi primi piani e dialoghi, divenendo un po' noiosa in alcuni punti e difficile da seguire con attenzione viva. Non si può dire che sia un film avvincente; il valore dell'ultima opera dei fratelli Coen non sta tanto nell'avvicendarsi fluente e piacevole della narrazione, quanto nella riflessione che esso stimola dopo la visione.

Voto: 7

Chiara Di Ilio